[Recensione monografica] I Grandi Gatsby
Il Grande Gatsby: dal romanzo ai film
“The Great Gatsby”, di F. Scott Fitzgerald (1925)
Non avevo mai letto nulla di Francis Scott Fitzegerald prima di avvicinarmi, quasi per caso, a “Il Grande Gatsby”.
In questo breve romanzo di poco più di 100 pagine viene raccontata una storia d’amore puro, incondizionato e intramontabile: quello di Jay Gatsby per Daisy. Sullo sfondo, la vivace e festosa New York degli anni ’20, quella del proibizionismo e dello sviluppo di Wall Street.
Il punto di forza del romanzo è, di sicuro, il particolarissimo stile usato da Fitzgerald. Uno stile vivace, mai banale che non annoia, nonostante la trama in alcuni punti non sia particolarmente avvincente (come la scena che si svolge al Plaza Hotel in cui Gatsby ossessivamente vuole ottenere da Daisy l’ammissione di non aver mai amato il marito). Persino nei film si capisce come questa scena, fondamentale per le vicende, sia un po’ pesante.
Lo stile fresco di Fitzgerald è condito da metafore elegantemente arzigogolate come, per esempio: “La domenica mattina […] il mondo e la sua amante ritornarono alla casa di Gatsby e ammiccarono divertiti sul prato” in cui per “amante” si intende la luce, per indicare che si era fatto giorno. O ancora: “…<>. La sua mano destra ordinò d’improvviso alla punizione divina di stare in attesa.” : una perifrasi piacevolmente contorta per descrivere il semplice gesto del giuramento. Esempi come questo ce ne sono in ogni pagina e non rendono la lettura pesante o ridondante. Ci si trova di fronte ad uno stile veramente originale che mostra come esistano migliaia di soluzioni narrative differenti per descrivere la medesima situazione. Lo scrittore sembra non accontentarsi di descrivere un’azione come la vede, ma la reinterpreta sempre in chiave quasi magica e poetica.
Colpisce molto anche l’ ironia di base, a più riprese persistente: “… Tom Buchanan mi obbligò a uscire dalla stanza come se spostasse un pedone sulla scacchiera”, per sottolineare il comportamento autoritario di Tom. O anche: “… un personaggio nazionale in un certo qual modo, uno degli uomini che raggiungono un’eccellenza così intensa e limitata a ventuno anni che tutto quello che fanno dopo sa di delusione.”, oppure “riesco ancora a leggere i nomi ingrigiti […] di quelli che accettarono l’ospitalità di Gatsby e gli offrirono l’avveduto omaggio di non sapere niente di lui”. Un’ironia elegante ma spesso usata come critica sottile ma feroce nei confronti di alcune categorie di individui che caratterizzavano quegli anni come i parassiti sociali e gli scrocconi.
Il punto centrale dell’intero romanzo, quello che si può definire il messaggio dell’autore, è l’impossibilità di ripetere il passato: il desiderio di Gatsby di far finta che i 5 anni lontani da Daisy non siano mai trascorsi (anni in cui lei si è sposata) è un desiderio impossibile da realizzare. Solo Gatsby si illude che questo possa accadere, mentre Nick al contrario è ben consapevole della triste realtà.
Il finale consiste semplicemente in un aforisma, una verità apodittica e incontestabile oltre che, semplicemente, bella: “So we beat on, boats against the current, borne back ceaselessly into the past - Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.”. Secondo l’autore, siamo portati sempre a guardarci indietro e a tornare ad un periodo che ricordiamo felice: una condizione costante nell’uomo (barche controcorrente), una sorta di personale laudatio temporis acti che, però, impedisce di vivere appieno il presente.
Il merito di quest’opera è quello di aver delineato l’amore tragico di un personaggio che presenta comunque delle caratteristiche innovative: caso più unico che raro viene descritto il sentimento di un uomo per una donna. Amore che ha attraversato gli anni, la guerra, la povertà ma non è mai diminuito di intensità. Tutto quello che Gatsby fa o ha fatto da quando ha conosciuto Daisy è stato funzionale alla possibilità di sposarla, di guadagnare lo status di uomo rispettabile e benestante necessario a poter finalmente vivere felice con Daisy, in un epoca in cui “le ragazze ricche non sposano mai un povero”. E proprio qui sta la grandezza e la tragicità allo stesso tempo di Gatsby: lui è l’unico che ha amato in maniera genuina e vera, mentre i sentimenti degli altri personaggi spaziano dal tradimento ad un’infatuazione che viene meno nel momento in cui dovrebbe risultare più forte.
Questo breve romanzo, praticamente un racconto, è stato adattato al cinema svariate volte (quattro contando anche il film muto del 1926, andato però inspiegabilmente perduto).
The Great Gatsby (2013) – di Baz Luhrmann (2013)
Una cosa che di sicuro colpisce qualsiasi spettatore è la fotografia: il regista da l’impressione di essersi letteralmente divertito nel creare immagini movimentate, creative e sperimentatrici. Finalmente in questo tipo di film si osa, si tenta qualcosa di nuovo, allontanandosi dalla mera traduzione di un romanzo in un film, come, invece, accade per gli altri due. Qui, i colori sono sgargianti, accuratamente scelti in contrasto l’uno all’altro, che delineano un “carnevale caleidoscopico” perfettamente rispondente all’atmosfera delle straordinarie feste organizzate da Gatsby.
Il tema del colore è onnipresente nella descrizione che lo scrittore americano fa della festa di Gatsby: “…antipasti scintillanti … disegni arlecchineschi … sgargianti colori … un mare di visi e voci e colori mutevoli … l’orchestra sta suonando una musica gialla da cocktail ... uniforme azzurra come uovo di pettirosso …”.
In questo Luhrmann è aiutato, e non poco, anche dal Blu-Ray, ma la possibilità di utilizzare nuove soluzioni tecnologiche non deve essere considerata una colpa, come un trucchetto o una scorciatoia: è, al contrario, l’esempio migliore di come il nuovo possa essere usato per restituire allo spettatore quell’insieme di atmosfere, suoni, associazioni di idee che solitamente solo la parola scritta riesce a veicolare.
Uno dei momenti fondamentali dell’intera pellicola è, sicuramente, la festa organizzata da Gatsby.
Questi party devono essere incredibilmente belli e divertenti perché sono il mezzo principale che il padrone di casa utilizza per rincontrare la sua amata. Ma come si fa a colpire lo spettatore del 2013 rappresentando delle feste che sono ambientate quasi 100 anni prima? La soluzione geniale è stata l’introduzione di elementi volutamente anacronistici come le numerose colonne sonore di Jay-Z, Will.i.am, Beyoncé, Fergie. E così i ballerini si muovono al ritmo di “100$ Bill”, “Bang Bang”, “A Little Party Never Killed Nobody”, ecc. Infatti, così come negli anni’20 stava prendendo piede il Jazz che costituiva una pittoresca novità nell’immaginario musicale, allo stesso modo scegliere la colonna sonora all’interno del mondo Hip-Hop ricrea quella stessa spiazzante atmosfera, piacevolmente fuori luogo.
Tra i punti che, invece, non convincono più di tanto ci sono alcune scelte del regista, come ad esempio, quella di iniziare il film con Nick Carraway ricoverato presso un ospedale psichiatrico. Questo aspetto è del tutto assente nel romanzo e, apparentemente, non risponde a nessuna finalità particolare. In un articolo dell’ “Huffington Post” (Baz Luhrmann, 'Great Gatsby' Director, Explains The 3D, The Hip Hop, The Sanitarium And More) il regista Luhrmann spiega come questo particolare della trama sia stato inserito per collegare direttamente tutta la vicenda ad un testo scritto che, non potendo essere il romanzo stesso, diventa il diario che Nick scrive durante la terapia per riprendersi dai sintomi che aveva manifestato (alcolismo patologico, insonnia, attacchi di panico, ansia). In questo modo, in alcune scene possono apparire in sovraimpressione alcune bellissime citazioni dal romanzo (fingendo, appunto, che sia Nick a scriverle) e, allo stesso tempo, si sottolinea come le vicissitudini di Gatsby abbiano distrutto emotivamente il protagonista. Nonostante la spiegazione, quella dell’ospedale psichiatrico appare una superfetazione inutile.
Un altro aspetto criticabile è la volgarità che traspare in più punti. Intendiamoci: la vicenda si presta ad aspetti volgari. Ci sono, infatti, tradimenti continui, flirt, feste a cui i personaggi bevono fino ad essere ubriachi. Ma nel romanzo gli episodi licenziosi sono lasciati all’immaginazione del lettore il quale è ben consapevole che accadano, senza però che sia l’autore a macchiarsi della colpa di esplicitarlo. Chi legge il romanzo sa per certo che Tom tradisce ripetutamente Daisy con Myrtle, senza però far si che Nick senta imbarazzato le urla sguaiate dei due mentre fanno sesso nell’appartamento a New York. Oppure, ancora, dal romanzo si capisce chiaramente che Tom è solito appartarsi con giovani ragazze alle feste di Gatsby, ma non lo vediamo riallacciarsi la cerniera dei pantaloni tornando nel salone. Insomma, non viene resa completa giustizia all’eleganza dello stile di Fitzgerald che riesce a parlare di argomenti in cui facilmente si può scadere nella volgarità, senza però farlo, rimanendo in qualche modo un raccontatore puro e estraneo ai fatti.
Un altro aspetto criticabile è la volgarità che traspare in più punti. Intendiamoci: la vicenda si presta ad aspetti volgari. Ci sono, infatti, tradimenti continui, flirt, feste a cui i personaggi bevono fino ad essere ubriachi. Ma nel romanzo gli episodi licenziosi sono lasciati all’immaginazione del lettore il quale è ben consapevole che accadano, senza però che sia l’autore a macchiarsi della colpa di esplicitarlo. Chi legge il romanzo sa per certo che Tom tradisce ripetutamente Daisy con Myrtle, senza però far si che Nick senta imbarazzato le urla sguaiate dei due mentre fanno sesso nell’appartamento a New York. Oppure, ancora, dal romanzo si capisce chiaramente che Tom è solito appartarsi con giovani ragazze alle feste di Gatsby, ma non lo vediamo riallacciarsi la cerniera dei pantaloni tornando nel salone. Insomma, non viene resa completa giustizia all’eleganza dello stile di Fitzgerald che riesce a parlare di argomenti in cui facilmente si può scadere nella volgarità, senza però farlo, rimanendo in qualche modo un raccontatore puro e estraneo ai fatti.
Per tirare le somme, gli aspetti positivi del film superano di gran lunga quelli negativi, sia considerandolo esclusivamente come la trasposizione cinematografica di un romanzo, sia come movimentata e fresca descrizione dei Roaring Twenties, gli anni ruggenti americani, l’epoca del Jazz, di Wall Street e del diffuso sentimento di rinascita emotiva dopo la Grande Guerra e prima della Grande depressione.
Quello che però farà passare alla storia questo film è l’interpretazione di Leonardo DiCaprio. Paradossalmente, non il film in cui da il meglio di sé, ingabbiato in un ruolo che non si presta così tanto a stupire lo spettatore, ma perfettamente in simbiosi col personaggio misterioso ed affascinante di Jay Gatsby. DiCaprio è Jay Gatsby: così come nel film tutti lo aspettano ma lui non arriva mai, allo stesso modo l’attore appare dopo ben 30 minuti in modo spettacolare: con i fuochi d’artificio e sul sottofondo di Rapsody in Blue di George Gershwin!
VOTO: 7.8\10
The Great Gatsby (1974) – di Jack Clayton
Se il punto di forza del film del 2013 è stato quello di aver rispettato lo stile del romanzo, movimentato e brillante, il punto dolente della versione del 1974 è proprio non averlo fatto per nulla.
Questa pellicola ha la stessa identica durata di quella di Luhrmann, ma sembra non finire mai. E’ lenta, pesante, monotona: in una parola didascalica. Per carità, viene resa molto bene la tenerezza del sentimento di Gatsby, ma non c’è nessun tentativo rendere questa storia accessibile a tutti. Sembra un film destinato esclusivamente agli addetti ai lavori, a quelli che hanno letto il libro. Qualsiasi tentativo di rinnovare l’opera, di reinterpretarla in chiave un po’ più moderna e vivace è escluso a priori.
L’unica cosa che sembra interessare il regista è rappresentare una storia d’amore, con un’adesione quasi ossessiva al testo. Il problema è che questo è solo metà del lavoro: anche il romanzo di Fitzgerald sarebbe stato noioso se avesse puntato solo sulla trama che, diciamocelo, di per sé vanta solo un grande romanticismo. Che ne è stato della brillantezza, della capacità di suggerire immagini e sensazioni proprie del libro?
Queste caratteristiche sono ancora più difficili da accettare se si pensa al cast del film: Mia Farrow, già vincitrice di un Golden Globe e destinata di li a 8 anni a diventare la musa e attrice feticcia di Woody Allen. Robert Redford, che arrivava dalla nomination all’oscar e dal successo de “The Sting” (La Stangata). Due attori incredibili che non vengono sfruttati: Daisy, il personaggio di Mia Farrow, praticamente per tutto il film alterna momenti di risatine isteriche a scoppi in lacrime. Redford, invece, non emana il fascino che contraddistinguerà il suo erede DiCaprio.
Pochissime cose si salvano in questo film, le uniche che aggiungono un po’ di colore e movimento: le scene della prima festa di Gatsby con i balli sfrenati che la contraddistinguono e quella in cui Gatsby lancia il tuo assortimento di camicie sul letto dove Daisy è seduta, in un turbinio di colori che spezza l’altrimenti totale grigiore del film.
VOTO: 5.2\10
The Great Gatsby (1949) - di Elliott Nugent
Non considerando la versione muta del 1926 che purtroppo non sono riuscito a reperire, questo è il primissimo adattamento cinematografico del romanzo. Premetto che sono riuscito a trovarlo solo in lingua originale, ma senza sottotitoli, quindi potrebbe essermi sfuggito qualcosa dei dialoghi.
Questo film inizia la tradizione per cui solo grandi attori interpreteranno Jay Gatsby in quanto viene scelto Alan Ladd, all’epoca molto famoso.
Generalmente, si è soliti ritenere i film più datati basati su opere letterarie molto più aderenti e rispettosi di quello che è il significato dell’opera. Per questo film non è cosi. L’intera tematica dell’impossibilità di ripetere il passato che, come ho già detto, è il significato principale del romanzo viene completamente travisato. Anzi, presenta un approccio molto diverso rispetto a quello degli altri due: il protagonista non è Nick Carraway, il narratore, ma lo stesso Gatsby. Inoltre, si capisce quella che sarà la sua fine, poiché nella prima immagine del film vediamo la tomba di Gatsby in cui troviamo una citazione dal libro “Proverbi” della Bibbia: “C'è una via che all'uomo sembra diritta ma la sua fine sfocia in vie di morte.”
Questo sembra essere il messaggio del film: il destino regola tutto. Non c’è spazio per capire cosa ha portato alla morte del protagonista, quale speranza d’amore sia stata disattesa e quando grande sia il dramma di un amore alla fine tradito.
Tra la scelta di privilegiare la scorrevolezza del film e quella di rappresentare una storia d’amore unica nel suo genere questa versione alla fine non fa né l’uno né l’altro.
Un debutto cinematografico non troppo entusiastico!
FONTI:
1) “Il Grande Gatsby”, edizione italiana della Newton Compton Editori, traduzione di Bruno Armando.
2) Huffington Post: "Baz Luhrmann, 'Great Gatsby' Director, Explains The 3D, The Hip Hop, The Sanitarium And More" - Articolo del 13 maggio 2013
Non ho mai visto film del genere ma ti giuro mi hai incuriosito : )
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