Speciale Premi Oscar 2018 - Tutti i film candidati
SPOLER ALERT! Di seguito è rivelata parte della trama dei principali film candidati agli Oscar 2018
Prevedere una graduatoria, in questi casi, può sembrare risibile. L'obiettivo, invece, è quello di creare subito un'inevitabile contrapposizione con il lettore, in modo tale da incentivare e catalizzare la discussione e il confronto.
Questo è la cosa più bella: parlare delle proprie preferenze, non essere d'accordo, apprezzare cose diverse e anche ignorarne alcune fino a quando qualcun altro ti fornisce una nuova chiave di lettura.
In ordine decrescente di preferenza, ecco la mia personalissima classifica degli Oscar di quest'anno.
1) GET OUT, di Jordan Peele. 4 candidature (miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista), 1 vittoria (miglior sceneggiatura originale). Uscita italiana: 18 maggio 2017.
Chris, giovane fotografo di colore, andrà a passare il week-end a casa dei futuri suoceri Armitage. La sua ragazza Rose lo rassicura sul fatto che i genitori non siano assolutamente persone razziste, ma durante il fine settimana una serie di spie allertano il protagonista e lo spettatore.
In una premiazione risaputamente conservatrice, questo film è un' entrata a gamba tesa. Il genere stesso è molto inusuale per l'Academy: potrebbe essere definito un thriller psicologico, forse persino un horror. Come previsto, non ha fatto incetta di premi, aggiundicandosi quello più accessibile e, sicuramente, più meritato.
Jordan Peele ha curato nei minimi dettagli lo sviluppo della trama che potrebbe essere paragonato ad una valanga: a parte la scena iniziale che delinea subito il terreno di gioco, tutto parte quasi immobile, prende sempre più velocità fino a distruggere qualsiasi tipo di ordine logico. Ci si trova catapultati, quasi come il protagonista, in un'altra dimensione, in un altro genere inaspettato.
I dialoghi poi, sono il vero fiore all'occhiello: non colpiscono in maniera netta e decisa, ma in modo più subdolo. Ogni frase pronunciata dai membri della famiglia Armitage lascia lo spettatore interdetto: quello che succede nella casa è un susseguirsi di spie e avvertimenti.
E', ovviamente, un film che contiene una dissacrante ironia verso alcuni ceti bianco-liberali americani, quelli che per intederci si vantano di aver votato Obama. Ma non è assolutamente definibile come la classica 'tiritera' anti-razzista. Le divisioni tra bianchi e neri non sono superate, anzi sono alla base del comportamento del protagonista. Quando Chris parla con l'amico, e con qualsiasi altra persona di colore, utilizza uno slang particolare: si rivolge a loro creando sempre un contatto ma contrapponendosi ai bianchi. E' un film che prende atto delle differenze che ci sono tra le due etnie, se così si possono definire, e ci scherza sopra.
Il finale, impronosticabile, lascia un senso di stupore e macabra soddisfazione che richiamano Tarantino, non a caso plurivincitore nella medesima categoria.
2) THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI, di Martin McDonagh. 7 candidature (miglior film, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, migliore colonna sonora), 2 vittorie (miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista). Uscita italiana: 11 gennaio 2018.
Mildred, dopo mesi dall'efferato omicidio della figlia senza alcun progresso nelle indagini, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari in disuso per richiamare l'attenzione della comunità e della polizia sul caso irrisolto, nel tentativo di stimolare le indagini.
E' stata una scelta sofferta relegare questa pellicola al secondo posto. Film capolavoro, sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto, la protagonista Mildred Hayes, interpretata dalla (neo) duplice 'Premio Oscar' Frances McDormand: il suo è un personaggio complicato e dalle mille sfaccettature. E' ostinata e testarda come un toro, ma probabilmente decide di porre la terribile morte della figlia sotto i riflettori anche per punire sè stessa. E' impulsiva e violenta, ma anche capace di slanci di empatia nei confronti dello sceriffo Bill. E' necessariamente il personaggio positivo del film, ma dimostra di non riuscire a superare i pregiudizi nei confronti di James, nonostante questi le abbia fornito un prezioso alibi. Insulta ad ogni occasione possibile la fidanzata diciannovenne dell'ex marito, ma intima a quest'ultimo di evitare alla giovane i maltrattamenti che avevano contraddistinto il loro matrimonio. E' una persona reale con reali contraddizioni che non impediscono ma, anzi, facilitano l'affezionamento da parte dello spettatore.
La pellicola sembra di essere un covo di cattive intenzioni fino al momento in cui qualcuno non decide di porre un freno alla spirale di violenza: come esempio tra tutti Red Welby, che dopo essere stato defenestrato da Dixon, evita di vendicarsi sul poliziotto allettato e indifeso e addirittura gli versa da bere. 'La violenza genera altra violenza' è un po' la parafrasi della lettera che lo sceriffo Bill lascia al personaggio interpretato da Sam Rockwell. Questo è il vero messaggio del film, almeno fino a quando i due decideranno di recarsi in Idaho. O forse no.
3) THE DISASTER ARTIST, di James Franco. 1 nomination (miglior sceneggiatura non originale). Uscita italiana: 22 febbraio 2018.
Il film racconta la nascita dell'amicizia tra Tommy Wiseau e Greg Sestero, del loro sogno di diventare attori professionisti, e della creazione del film The Room, passato alla storia come uno dei più brutti di sempre.
Una cosa è recitare male, un'altra è interpretare magistralmente un attore che recita in maniera pessima. La ricostruzione dell'istrionico Tommy Wiseau da parte di James Franco è perfetta nelle espressioni stralunate, nel portamento dinoccolato e nella pronuncia indefinibile. Questo personaggio, entrato in maniera atipica nella storia del cinema viene elevato ad esempio universale. Del resto possiede molti elementi tipici di un eroe: generosità, ottimismo e caparbietà nel raggiungere l'obiettivo di sfondare come attore. Poco male se non possiede il requisito del talento.
Nella prima parte della pellicola, lo spettatore si convince della filosofia di Tommy: niente è impossibile, se ci si impegna al massimo senza arrendersi mai. Sembra essere l'inizio di una classica storia a lieto fine: invece, Hollywood fa tornare i due amici coi piedi per terra. La realtà è che la possibilità di conquistare Los Angeles è una su un milione. Ed è qui che subentra tutta l'epicità del personaggio di Wiseau: attingendo a non si sa quali fondi, girerà un film insieme a Greg che verrà definito negli anni successivi "il quarto potere dei film brutti". Si perfeziona l'esaltazione dei principianti e degli incapaci, dei non meritevoli ma con un sogno.
Questa tematica incontra un sentimento difficile da spiegare: il gusto dell'orrido, la sublimazione del brutto, l'attrazione per ciò che stona: quel sentimento un po' masochista che crea disagio ma diverte.
Un film che lascia lo spettatore con moltissimi dubbi, ma una certezza: il desiderio irrefrenabile e assolutamente incomprensibile di reperire l'originale The Room.
4) THE BIG SICK, di Michael Showalter. 1 nomination (miglior sceneggiatura originale). Uscita italiana: 16 novembre 2017.
Kumail sogna di diventare uno stand-up comedian, ma si guadagna da vivere lavorando come Uber. In questa circostanza conosce Emily. Nasce una storia d'amore, osteggiata dalla cultura della famiglia di Kumail, legata alla tradizione dei matrimoni decisi dalla famiglia, esclusivamente con donne pakistane.
Passata quasi completamente in sordina, The big sick è una commedia davvero piacevole. E' un'opera fortemente autobiografica, secondo lo stile di molti altri stand-up comedians, in cui Kumail Nanjiani interpreta sè stesso.
Uno dei temi centrali della pellicola è sicuramente la doppia natura che caratterizza il protagonista. E' molto legato alla propria famiglia pakistana, ma allo stesso tempo nutre un forte desiderio di emancipazione, fonte di continui contrasti con i genitori.
Come il titolo suggerisce, il tema rilassato della vicenda prende improvvisamente una piega drammatica. Ma anche questi momenti della narrazione sono gestiti in maniera limpida e ordinata. La comicità lascia lo spazio alla riflessione: la malattia non è solo tragedia, ma diventa "una delle esperienze più significative della vita", capace di sconvolgere il punto di vista delle persone, di avvicinarle e di ridisegnare le priorità di ognuno.
Lo consiglio assolutamente: piccola e insolita perla di questi Awards.
5) THE POST, di Steven Spielberg. 2 candidature (miglior film, miglior attrice protagonista). Uscita italiana: 1 febbraio 2018.
Nel 1971, la direttrice del quotidiano nazionale "The Washington Post" Katharine Graham si trova costretta a quotare in borsa il proprio giornale. Contemporaneamente, scoppia lo scandalo dei cosiddetti 'Pentagon Papers', uno studio segreto del governo americano da cui traspare la consapevolezza delle stretegie fallimentari adottate nella Guerra del Vietnam. E' l'occasione per il 'Post' di aumentare le proprie aspirazioni giornalistiche.
A parte la mera candidatura di rappresentanza come miglior film, The Post è passato piuttosto sotto silenzio. Invece, ho trovato questa pellicola veramente appassionante, persino più di Spotlight, vincitore della suddetta categoria nel 2016, con il quale condivide il tema della libertà di stampa e della missione giornalistica.
L'opera di Spielberg è ambientata in uno dei periodi più torbidi e interessanti della storia americana: la guerra in Vietnam e la relativa propaganda statunitense. Di fronte ai vari personaggi si pone un dilemma: rivelare dei documenti top secret oppure rispettare il Segreto di Stato? E' un tema di scottante attualità, negli USA come in ogni altra parte del mondo: quali sono i confini esatti del diritto di inchiesta e di informazione? In questo particolare caso, viene richiamata la decisione di allora della Corte di Giustizia: "... the Founding Fathers gave the free press the protection it must have to fulfill its essential role in our democracy. The press was to serve the governed, not the governors."
Probabilmente questo già basterebbe per considerare The Post un grande film, ma è impossibile non menzionare la mitica Meryl Streep. Più che un'attrice è la Re Mida del cinema Hollywoodiano: qualsiasi cosa tocca diventa oro. Potrebbe sembrare ormai una prassi quella di inserirla sistematicamente tra le nomination, ma basta guardare le sue interpretazioni per capire che non è un caso. Ogni anno sforna una performance memorabile e diametralmente opposta da quella passata. In questo film interpreta quella che si potrebbe definire un'antieroina: apparentemente molle, senza carattere nè meriti particolari, è diventata proprietaria del giornale di famiglia solo dopo la morte del padre e del marito. Una donna al comando in un mondo ed un epoca estremamente sessista: "A woman's preaching is like a dog's walking on his hind legs. It is not done well; but you are surprised to find it done at all". Eppure, nel momento decisivo, prende la decisione con fermezza, dimostrando una forza e un coraggio fino a quel momento inaspettati.
Un'opera che esalta il ruolo quasi spirituale del giornalismo d'inchiesta, il tutto condito da una brillante sceneggiatura. Le citazioni da questo film possono sprecarsi. L'ultima, lo prometto: "News are the first rough draft of history".
6) I, TONYA, di Craig Gillespie. 3 candidature (miglior attrice protagonista, miglior montaggio), 1 vittoria (miglior attrice non protagonista). In Italia uscirà il 22 marzo 2018.
Tonya Harding è una pattinatrice dotata di enorme talento, che la porterà ad essere la prima americana ad eseguire un 'Triplo Axel'. Dietro questa parabola ascendente è però celata una storia famigliare estremamente complicata, pervasa dalla figura di una madre spietata e anaffettiva.
Come ho già avuto modo di affermare, le tre candidature sono tutte strameritate. I, Tonya esalta al massimo le due interpreti femminili Margot Robbie e Allison Janney: il risultato è una rappresentazione estremamente vivida del loro complicato rapporto: insano, violento e senza sentimenti. D'altro canto, la protagonista deve letteralmente tutto alla madre: un attaccamento quasi morboso per il pattinaggio, una costante instabilità emotiva e uno stile più rabbioso che energico.
Cresciuta in un simile ambiente, Tonya non potrà mai incarnare quella figura della brava ragazza di buona famiglia che l'America voleva veicolare.
Lo stile narrativo è l'altra grande qualità della pellicola: l'alone di mistero che dopo più di venti anni aleggia ancora sulla sportiva è perfettamente reso da un finto stile documentaristico, in cui però i momenti incerti sono riscotruiti con una doppia versione dei fatti: il risultato è che lo spettatore non sa bene a quale versione credere e finisce per scegliere da sè.
7) LADY BIRD, di Greta Gerwig. 5 candidature (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura originale). Uscita italiana: 1 marzo 2018.
Christine frequenta l'ultimo anno di liceo a Sacramento, in California. Desidera ardentemente iscriversi ad un'università di New York, ma la famiglia non è nelle condizioni economiche ideali.
Lady Bird è un film completamente al femminile: Saoirse Ronan, Laurie Metcalf e Greta Gerwig. Grazie a quest'ultima, la categoria 'miglior regia' torna ad essere rappresentata anche da una donna, fatto accaduto solo cinque volte nella storia, l'ultima nel 2010 (Kathryn Bigelow per The Hurt Locker, peraltro persino premiata).
Il rifiuto del nome deciso dai genitori è molto indicativo della sua personalità, tanto che il soprannome diventa il titolo stesso della pellicola. La protagonista nutre una spasmodica volontà di emanciparsi dalla famiglia che si concretizza nell'insofferenza per la scuola cattolica e nel desiderio costante di allontanarsi dalla California. Per questo, il rapporto con la madre è scandito da continui litigi.
Lady Bird è la tipica adolescente: impaziente, ribelle, immatura. E', però, anche molto determinata nell' entrare in un college di New York e tenta ogni mezzo, anche illecito, come per esempio rubare il registro per contraffare i propri voti. Il percorso di maturità sembra completarsi, o quantomeno iniziare (dipende dai punti di vista), quando finalmente Christine raggiunge il proprio obiettivo. E il primo sentimento che prova è la nostalgia.
8) DUNKIRK, di Christopher Nolan. 8 nomination (miglior film , miglior regia, miglior fotografia, miglior scenografia, migliore colonna sonora), 3 vittorie (miglior sonoro, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro). Uscita italiana: 31 agosto 2017.
Francia, 1940. Gli inglesi tentano di evacuare i propri soldati dalla città di Dunkerque, ormai assediata dalle truppe naziste. Questo miracolo passerà alla storia come 'operazione Dynamo'.
Dunkirk è innegabilmente validissimo dal punto di vista registico. La vicenda si svolge secondo tre piani narrativi che si intrecciano tra di loro: terra, mare e cielo. I tre premi tecnici sono, infatti, indiscutibili. E' davvero significativa la penuria di dialoghi: il sonoro è ridotto all'osso, privilegiando i silenzi e i rumori di sottofondo. Unica pecca, a mio avviso, la difficoltà nel seguire i continui salti temporali: alla prima visione si ha difficoltà a ricostruirli correttamente.
Le scelte di Nolan colpiscono più per l'assenza di alcuni elementi che per la loro presenza: innanzitutto, non viene inquadrato una sola volta il nemico. I tedeschi sono alle porte, ma non hanno un volto: si percepiscono senza mai apparire. Questo facilita un'immersiona totalizzante nella fuga dei combattenti inglesi, devastati dalla paura di essere bombardati, affondati o abbattuti.
In secondo luogo, nessuno spazio viene dato ai 'vertici' dell'esercito: non si assiste, per esempio, ad alcuna riunione dei capi militari a Londra. La narrazione si focalizza sui veri soggetti di questo dramma: i soldati.
La sensazione predominante nello spettatore risulta essere un sentimento di trasporto nei confronti dei fuggitivi e di ammirazione per l'eroismo del popolo inglese che si mobilita coralmente per salvare i propri ragazzi al fronte.
9) THE SHAPE OF WATER, di Guillermo del Toro. 13
nomination (miglior attrice protagonista, miglior attore non
protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura
originale, miglior fotografia, miglior montaggio, miglior montaggio
sonoro, miglior sonoro, migliori costumi), 4 vittorie (miglior film, miglior regia, miglior scenografia, miglior colonna sonora). Uscita italiana: 14 febbraio 2018.
Elisa,
affetta da mutismo, lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio
governativo dove vengono effettuati esperimenti su una creatura anfibia
catturata in Amazzonia. La donna inizia progressivamente a creare un
contatto con il misterioso essere.
Il
vero vincitore di questa edizione degli Oscar. Premetto una
precisazione: la bassa posizione di classifica non è determinata da un
mancato gradimento. Semplicemente, non mi ha stregato.
Pur non avendolo interiorizzato al meglio, come è accaduto per altri titoli, l'ho molto apprezzato.
The Shape of Water
colpisce per la bizzarria della situazione: è la storia d'amore più
singolare mai scritta. Ma presto diventa tutto estremamente logico. Si
sono uniti due esseri simili, ugualmente rifiutati e additati come
mostri. E' lo spietato colonnello Strickland che suggerisce questo
legame: accusa sia Elisa che la creatura di non capire i loro versi. Il
paradosso costruito da del Toro si completa: la mostruosità dell'essere
umano che non riesce a comprendere e l'incredibile umanità del
sentimento che lega i 'deformi'.
Il
finale è il momento più bello dell'intera pellicola: quello che fino ad
ora era dramma romantico si trasforma in fiaba. E vissero per sempre
felici e contenti, lontano dal mondo a cui non appartenevano.
10) DARKEST HOUR, di Joe Wright. 6 candidature (miglior film, miglior fotografia, miglior scenografia, migliori costumi), 2 vittorie (miglior attore protagonista, miglior trucco). Uscita italiana: 18 gennaio 2018.
Il periodo storico raccontato è esattamente quello di Dunkirk, vale a dire metà maggio del 1940. Potrebbe essere considerato il negativo del film di Nolan: Darkest Hour è la vicenda della nomina di Winston Churchill come Primo Ministro e delle sue decisioni in politica estera, in particolare il netto rifiuto di intavolare trattative di armistizio con i tedeschi. Uno degli eventi storici fondamentali è proprio l'operazione Dynamo.
Darkest Hour non è esattamente ciò che si definisce un film corale. Al contrario, è l'esaltazione di uno dei personaggi storici più importanti del XX secolo. Viene rappresentata la parte più eroica e allo stesso tempo più umana di Churchill: l'uomo solo al comando, isolato da tutti per le sue posizioni oltranziste che alla fine si riveleranno decisive per l'intera Europa.
Oltre alla performance di Gary Oldman (probabilmente l'Oscar più scontato di tutti), bisogna sottolineare il prezioso lavoro svolto da Heather Manson e Kazuhiro Tsuji: il trucco viene utilizzato per 'somatizzare' il peso delle scelte che il primo ministro deve prendere. Dapprima vitale e pieno di energia, durante la sua ora più buia apparirà appensantito e schiacciato dalla responsabilità (tra le scelte più critiche, quella di condannare a morte 4000 soldati inglesi a Calais per poterne salvare 300000 a Dunkerque).
La bellezza di un film consiste anche nella sua capacità di indurre delle riflessioni nello spettatore. Personalmente, mi sono interrogato su un elemento: l'eroismo di Churchill deriva da una valutazione storica, col senno di poi. Come verrebbe oggi considerato se gli alleati avessero perso la seconda guerra mondiale? Probabilmente, sarebbe additato come un folle che ha causato pesanti perdite per il popolo inglese, altrimenti evitabili. A mio avviso, questa considerazione contribuisce ad aumentare l'ammirazione nei suoi confronti.
11) CALL ME BY YOUR NAME, di Luca Guadagnino. 4 nomination (miglior film, miglior attore protagonista, miglior canzone), 1 vittoria (miglior sceeggiatura non originale). Uscita italiana: 25 gennaio 2018.
La vicenda si svolge nell'estate del 1983, "somewhere in northern Italy". E' raccontata la storia d'amore tra Elio e Oliver, studente americano ospitato dalla famiglia Perlman.
La particolarità del film non consiste semplicemente nel raccontare una storia d'amore omosessuale. Tante altre pellicole sono state precorritrici in quest'ottica: Brokeback Mountain, Milk, Carol, La Vie d'Adèle - Chapitres 1 & 2 per citare solo quelli incensati dalla critica americana.
La grande novità consiste nell'affrontare in maniera ordinaria la relazione tra i due ragazzi: la pressione sociale e il bisogno di nascondersi sono lasciati sullo sfondo, in maniera sfocata. I sentimenti come la vergogna e la paura sono introspettivi, non tanto dovuti al timore di essere scoperti. In questo senso, l'ambientazione della pellicola è decisiva: viene ricreata un'atmosfera bucolica e intima, immersa nel verde e nella quiete, fertile di cultura classica, arte, poesia e musica.
Siamo di fronte ad un raro esempio di opera in cui l'amore omosessuale è trattato normalmente. Il disagio del diciassettenne Elio, in particolare, è dovuto alla nascita di un sentimento che non riesce a comprendere e a controllare, non ai pregiudizi di altri individui. Tant'è vero che il padre del protagonista si accorge dell'affetto che è nato tra i due, e anzichè condannarlo lo asseconda, dimostrando di comprendere la portata del sentimento.
Questo film ha fatto conoscere al grande pubblico il talento di Timothée Chalamet, attore classe 1995. L'ultimissima scena del film è incredibilmente espressiva, costituita dal semplice primo piano di Elio: dura per tre minuti esatti e il suo viso muta lentamente espressione, passando da una terribile afflizione ad una malinconica felicità per quanto provato con Oliver.
12) PHANTOM THREAD, di Paul Thomas Anderson. 6
candidature (miglior film, miglior regista, miglior attore
protagonista, miglior attrice non protagonista, migliore colonna sonora), 1 vittoria (migliori costumi). Uscita italiana: 22 febbraio 2018.
Reynolds
Woodcock dirige, insieme alla sorella, uno degli Atelier di moda più
rinomati di Londra. La vita dello stilista viene sconvolta quando Alma
vi entra, dapprima come modella, poi come musa ispiratrice.
Questo
film passerà alla storia come l'ultima interpretazione del mitico
Daniel Day-Lewis. L'attore britannico, celebre per l'immedesimazione
completa nei personaggi interpretati, ha decisamente chiuso in bellezza.
La
vicenda è una storia d'amore molto particolare. Woodcock pianifica la
sua esistenza esclusivamente in base al lavoro, che svolge in maniera
maniacale. Nonostate abbia la fama di essere una persona con un
carattere duro e autoritario, già dal primo incontro si capisce come
Alma riesca a percepire la vera essenza del suo mentore: 'I think you are only acting strong'.
Questa si rivela essere la chiave di lettura dell'intera pellicola.
Alma finirà per avvelenare il cibo del compagno in modo tale da poterlo
accudire, tenerlo lontano dal lavoro e vicino a sè stessa. Il suo
comportamento destabilizza lo spettatore, ma presto si rileverà essere
del tutto razionale: Alma lo conosce meglio di chiunque altro e agisce
nell'esclusivo interesse del loro rapporto affettivo.
Questo
ruolo di Day-Lewis, lontano da altre altisonanti e ben più vistose
interpretazioni, si gioca tutto sulle espressioni facciali. L'apice
viene raggiunto verso la fine del film, nel momento in cui il
protagonista, senza dire una parola, masticando il piatto cucinatogli,
prende coscienza delle intenzioni della moglie e vi acconsente.
Pochissime parole ed esaltazione del viso come mezzo espressivo per
eccellenza.
13) ROMAN J. ISRAEL, ESQ, di Dan Gilroy. 1 candidatura per miglior attore protagonista. In Italia il film uscirà solo il 31 maggio 2018.
Roman J. Israel lavora come avvocato in un piccolo studio di Los Angeles. Dotato di una memoria straordinaria, è sempre stato abituato a lavorare nell'ombra. Quando però il suo socio e volto pubblico dell'ufficio muore, si troverà di fronte alla necessità di reinventarsi, mettendo in discussione tutto quello in cui ha sempre creduto.
Denzel Washington interpreta alla grande Roman Israel, un personaggio estremamente eccentrico e accattivamente. Tuttavia, c'è poco altro: siamo lontani dalle vette raggiunte dal regista e sceneggiatore Dan Gilroy con Nightcrawler.
La forza del film sta tutta nel suo protagonista: è un convinto attivista per i diritti civili e accetta soprattutto casi pro bono, cioè rappresenta gratuitamente clienti che non possono permettersi un legale. Anche per questo motivo, il suo studio dichiara fallimento: il nostro si trova improvvisamente incastrato nel mondo delle grandi law firms di L.A., popolato da squali.
Il suo obiettivo nella vita è quello di intentare una mastodontica causa contro l'intero ordinamento civile americano, in quanto a suo avviso costringe persone innocenti ad accettare pene draconiane pur di non affrontare il processo.
Roman è un personaggio puro che si accorge di lavorare in un sistema legale deviato, non necessariamente corrotto ma farraginoso e caotico. Il suo retaggio non resterà incompiuto.
14) MUDBOUND, di Dee Rees. 4 candidature (miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior canzone). Disponibilità su Netflix: dal 17 novembre 2017.
La vicenda, ambientata in Mississipi nel 1941, riguarda i destini dei McAllan, modesti proprietari terrieri bianchi e la famiglia di colore Jackson. Nasce anche un'amicizia tra Ronsel e Jamie, tornati profondamente turbati dalla guerra, ma è l'unico elemento di unione tra le due famiglie, in un luogo dove imperversa il razzismo.
La parola 'mudbound' non è facilmente traducibile in italiano. Letteralmente, potrebbe essere resa con l'espressione 'legati dal fango', ma l'idea che traspare dal film è qualcosa di più pregnante: parafrasando, trovarsi in un pantano, in una condizione stagnante che immobilizza l'esistenza di entrambe le famiglie.
Infatti se la condizione dei Jackson è estremamente difficile, ai McAllan non va certo meglio: trasferitisi in Mississipi con l'intenzione di arricchirsi, vengono truffati nell'acquisito della casa e sono costretti a vivere in una catapecchia nei campi.
La chiamata dei giovani in guerra, una terra improduttiva inondata dai nubifragi, il razzismo ancora diffuso sono spietati livellatori sociali. In questo clima, è però ancora possibile la nascita di un'amicizia grazie all'empatia tra due individui che hanno vissuto gli stessi orrori in guerra.
Arrivederci all'anno prossimo! ;)
Commenti
Posta un commento
Grazie per il tuo commento!